EMJO – Live in Coimbra (CF 228)
Valutazione: 4 stelle
Fa piacere notare come in giro per il mondo stiano emergendo diverse realtà orchestrali capaci di dire la loro fuori da cliché anche in quest’ambito spesso sovrabbondanti. Oggi tocca all’EMJO (European Movement Jazz Orchestra), organico cosmopolita (tedesco-sloveno-portoghese) sorto nel 2007 su basi di fatto istituzionali (le ambasciate dei tre Paesi) e forte di venti unità, di età media attorno ai trent’anni (ma la pianista Kaja Draksler è addirittura dell’87).
L’album in oggetto, inciso nel giugno 2010, presenta sei ampi brani (dieci minuti ciascuno, poco più o poco meno) quasi tutti dovuti a membri dell’orchestra. Solo il primo, il tripartito “Waves,” è infatti a firma di un esterno, il giovane pianista tedesco Jürgen Friedrich, e dà immediatamente la misura della coesione interna all’ensemble, giustapponendo massicci collettivi al solo centrale del trombonista Jörn Marcussen-Wulff. Un altro trombone, Lars Arens, contrassegna il brano che segue, “O.M.” del sassofonista Jure Pukl, aperto in piano solo e per il resto illuminato dal sax tenore di Philip Gropper, sempre nel segno di dinamiche vive, palpabili, felice costante dell’intero lavoro.
Un altro leitmotiv dell’incisione, come si sarà intuito, è il fatto che i vari episodi ruotino tutti attorno a pochi solisti (mai più di tre), tali da caratterizzarli con nettezza (che sia una pratica propria, per esempio, del primo Mathias Rüegg e di Maria Schneider vorrà pur dire qualcosa). E’ quanto avviene, ancora, in “E.S.T.” (dedica al compianto Esbjörn Svensson?), firmato dal trombonista Paulo Perfeito e illustrato dal sax alto di Uwe Steinmetz, attorno a cui si sviluppa anche il segmento più stimolante del successivo “Köln Kuddelmuddel,” aperto solisticamente dall’autore, il trombettista Matthias Schrieflper, e, a seguire, dalla batteria (un po’ ridondante, invero).
Se quest’ultima coppia di brani fa registrare una sia pur lieve flessione rispetto ai primi due, risultando un po’ più schematica, prevedibile (e comunque sempre di sicuro pregio), “Impresija,” della citata pianista Kaja Draksler, si segnala ancora per l’estrema sapienza architettonica, col flicorno di Susana Santos Silva e il sax soprano di Pukl (anche in solitudine) a illuminarlo sul versante improvvisativo. Chiude l’altrettanto felice “The Shagg’s Principle” del bassista Robert Jukic, col piano al centro delle operazioni in avvio, a sua volta molto originale come disegno, con la chitarra di Jani Mode che ne raccoglie il testimone, interfacciandosi con le interpunzioni dell’intera massa orchestrale.
Disco, come si sarà capito, del tutto consigliabile.
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