All About Jazz Italy review by Libero Farnè

Michaël Attias – Twines of Colesion (CF 188 )
Appena tornato dal festival di Saalfelden mi è capitato di riascoltare su Radio 3 un paio di brani da Saxophone Colossus di Sonny Rollins (1956) e poi di dover recensire per AAJ Staying on the Watch di Sonny Simmons (1966). L’imbattermi involontariamente nella rivoluzionaria vitalità di quei dischi mi ha fornito la riprova di alcune considerazioni che andavo rimuginando fra me e me mentre sui palchi di Saalfelden, vetrina imperdibile dell’attualità, si andavano susseguendo i concerti dei vari gruppi.
Vale a dire che, salvo rari casi, con le espressioni di oggi ci troviamo di fronte a tanti manierismi, magari sublimi, ma manierismi. Sull’urgenza espressiva prevale la consapevolezza, sulla centralità della cultura jazzistica l’incrocio fra culture, sulla potenza generatrice del sound e dell’improvvisazione la priorità della struttura, sull’invenzione di un linguaggio inedito la sofisticata rielaborazione d i idiomi… Tutto questo ha a che fare ovviamente con il postmodernismo e con la globalizzazione che almeno da un trentennio influiscono in modo determinante anche su qualsiasi branca del fare artistico.

Questa lunga premessa per arrivare a dire che Twines of Colesion, registrato dal vivo nel giugno 2008, è appunto un tipico esempio, non dei più convincenti, dell’attuale ricerca jazzistica più impegnata e “colta”.
Il quarantenne contraltista Michaël Attias, attivo a New York dagli anni Novanta, è al suo terzo CD per l’etichetta portoghese (dopo Credo e Renku in Coimbra). È autore di tutte le composizioni, o sarebbe meglio dire degli andamenti strutturali dei brani, che alternano passaggi obbligati e improvvisazioni, ora prudenti e diafane ora concitate; e non necessariamente queste ultime costituiscono gli sviluppi dei primi, ma anzi più spesso gli elaborati temi emergono, gradualmente o repentinamente, dalle parti improvvisate. Il quintetto procede con un interplay attento, in cui si mettono in evidenza il robusto contributo del contrabbasso di John Hebert e le voci strumentali dei sassofoni del leader e di Tony Malaby, spesso intrecciate fra loro.

La musica austera, riflessiva e coriacea che si materializza è inappuntabile, ma non riesce ad emozionare: qualche passaggio sa di compitino accademico e a volte il modo di fraseggiare risulta ormai risaputo. Se dunque consideriamo questo CD nel panorama strettamente attuale lo dobbiamo giudicare puntualmente mirato, pienamente attendibile, anche se allineato su direttrici impostate in precedenza da altri; se lo consideriamo in una prospettiva più ampia, di decenni, ha invece ben poche probabilità di rimanere nella storia.
http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=5682

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